Testimonianza sul partigiano Martino Orlando nato a Manta (Cn) l’8/2/1926 resa dal genero Garnero Giovanni il 14/03/2024 agli studenti della terza A scuola secondaria 1° grado.
- Quando avete sentito raccontare per la prima volta dai vostri famigliari dell’esperienza partigiana, cosa avete provato?
È stato appassionante, quasi come ascoltare la narrazione di un racconto d’avventura, tanto che ci mettemmo a chiedere di raccontare di nuovo, e questo succedeva praticamente ogni settimana.
- Secondo voi e in base a quello che vi è stato raccontato, che cosa ha spinto i giovani di allora a scegliere di diventare partigiani?
Quelli nati negli anni 1922-23 erano andati tra i partigiani per non essere arruolati nell’esercito, dato che ne avrebbero avuto l’età, mentre Martino Orlando, che era ancora più giovane, vi andò di sua spontanea volontà.
- A cosa fu dovuta la loro spinta antifascista?
I giovani del tempo volevano libertà, ma la dittatura fascista era un potere assoluto che reprimeva le libertà. Orlando aveva ricevuto un’educazione antifascista dal padre, che si opponeva alla dittatura vincendo la paura che assoggettava la maggior parte delle persone.
- I loro Genitori seppero subito della loro scelta? La approvavano?
Il padre approvò subito la scelta ed era molto orgoglioso ed entusiasta, mentre la madre, pur nascondendo in fondo del dispiacere, diceva che almeno c’era una bocca in meno da sfamare, perché le famiglie allora erano numerose e povere.
- Che rapporto avevano i partigiani con le persone che vivevano nei paesi qui intorno? Ci sono degli aneddoti che potete raccontarci?
Il rapporto dei partigiani con le persone che vivevano nei paesi era “al 50%”, perché alcuni avevano voglia di aiutare, altri non lo facevano poiché era tanta la paura di essere scoperti, cosa che avrebbe comportato gravissime conseguenze dal momento che la ritorsione dei nazifascisti era davvero temibile.
- Qual era il nome di battaglia scelto dai vostri parenti? Per quale motivo lo avevano scelto?
Il suo nome di battaglia era “Frugoletto”, non lo scelse, ma gli fu dato perché era piccolo e magro, poco più che un bambino: aveva solo 17 anni e aveva un fisico piuttosto gracile.
- Appena finita la guerra, che cosa desideravano fare?
Finita la guerra, molti partigiani non erano ancora pronti alla pace, erano rimasti calati nel loro ruolo di combattenti… Ma tanti partigiani trovarono facilmente lavoro. In particolare, mio suocero fu subito assunto alla Cartiera Burgo, perché serviva molta manodopera e perché un responsabile della ditta, il Sig. Dalmazzo, apprezzava i giovani che avevano militato nelle file dei partigiani.
- Amavano raccontarsi o hanno faticato perché, come anche i deportati, non si sono sentiti compresi?
Alcuni partigiani faticavano a parlare di ciò che era successo, per alcuni di loro ci vollero anni; invece il Sig. Martino Orlando lo faceva volentieri, con entusiasmo anche, come se durante il racconto riuscisse nuovamente a calarsi nel ruolo di un ragazzo che vive, con parziale consapevolezza dei pericoli, un’avventura più grande di lui.
- Rispetto all’idea di Resistenza che ci si può fare sui banchi di scuola, com’era quella vera, che coinvolse i vostri familiari?
Secondo me, Resistenza, per i protagonisti, voleva dire “vincere resistendo anche solo cinque minuti in più” per essere liberi.
- Raccontava spontaneamente o doveva essere sollecitato?
Da giovane raccontava spontaneamente, o comunque bastava poco per sollecitarlo, da più anziano ha iniziato a raccontare sempre meno, però è stato lui stesso, prima di morire, a chiedermi di andare a raccontare la sua storia nelle scuole, se ce ne fosse stata l’occasione.
- C’è un episodio, tra quelli raccontati, che le rimase più impresso?
Mio suocero, il 16 giugno 1944, era a Becetto, nei pressi di Sampeyre; si trovava in compagnia di altri partigiani, in quella che era la loro base. Alcuni suoi compagni avevano trovato delle armi, una pistola tedesca li incuriosì; uno di loro, maneggiandola, uccise involontariamente un compagno di banda, un ragazzo che si chiamava Giovanni Agù e ferì Orlando al ventre in modo grave. A quel punto fu provvidenziale la reazione del capo della compagnia, il Sig. Andrea Bruno di Revello, che Orlando considerava un secondo padre anche se era un giovane di pochi anni più grande di lui. Sapendo che quel giorno a Sampeyre era venuto il vescovo per impartire la Cresima ai ragazzini, e che vi era giunto a bordo di una Balilla (allora di automobili in giro ve n’erano davvero poche), Andrea si precipitò in quella località, requisì l’automobile e tornò a Becetto per caricarvi il ragazzo ferito, con l’intenzione di portarlo a Saluzzo, all’ospedale, dove il Dottor Roccavilla (storico chirurgo che operò per tanti anni in questo ospedale), fatto appositamente chiamare, lo avrebbe potuto operare. Lungo la strada però Orlando stava sempre peggio, arrivati a Piasco perse conoscenza e si capì che non poteva continuare il viaggio perché sarebbe morto. Si fermarono perciò presso la casa di riposo locale, lo distesero su un tavolo della camera mortuaria; il chirurgo, avvertito, lo raggiunse lì e lo operò in quel posto senza alcuna speranza di salvarlo, perché la situazione era davvero disperata. Dopo due settimane il giovane si riprese e fu curato per qualche tempo in un convento, poi tornò con i suoi compagni in alta valle. Dopo più di un anno ebbe occasione di incontrare di nuovo il chirurgo, che non poteva credere ai suoi occhi vedendolo ancora vivo.
- Ricorda i sentimenti che esprimeva mentre raccontava?
Quando era giovane raccontava spesso e in modo quasi “selvaggio”, ancora pieno di spirito d’avventura, come se fosse successo il giorno prima. Da anziano smise di raccontare e, quando lo faceva, piangeva.
- Com’erano i rapporti con le donne partigiane o staffette?
In alta valle avevano poche staffette donne, lui stesso ricoprì questo ruolo, perché era magro e non poteva combattere tutti i giorni. Per fare le staffette lassù era importante conoscere bene le strade di montagna.
- Com’erano i rapporti con la Chiesa presente sul territorio?
Alcuni uomini di Chiesa strinsero amicizia anche con i partigiani comunisti, perché in certe situazioni estreme vince il sentimento dell’umanità.
- Avete materiali fotografici o documenti che testimonino ancora oggi l’attività partigiana del vostro familiare?
Ci sono delle fotografie e l’attestato di partecipazione alla Resistenza nelle file partigiane del territorio, poi ci sono carte d’identità false.