All’annuncio dell’armistizio scatta l’invasione tedesca dell’Italia. Già il 9 settembre 1943 sono occupate le maggiori città della pianura padana. Fra il 10 e il 12 le SS di Joachim Peiper prendono Alba, Bra, Fossano, Mondovì e Cuneo, disarmano i soldati nelle caserme e li caricano su carri bestiame, per deportarli. Saluzzo invece fin da giugno è sotto il controllo di uno squadrone della Luftwaffe di stanza all’aeroporto della Grangia (Lagnasco-Scarnafigi). La prima banda partigiana della provincia è costituita il 10 settembre a Barge dai torinesi Gustavo Comollo, Giovanni Guaita, Nella Marcellino e Ludovico Geymonat, dal tenente Pompeo Colajanni con una quindicina di soldati e ufficiali del Nizza cavalleria, in prevalenza siciliani. Dalla valle Infernotto le formazioni garibaldine si propagheranno in val Chisone, nelle valli Po, Varaita e Maira. La seconda banda della provincia nasce l’11 settembre a Madonna del Colletto sul crinale fra Stura e Gesso ad opera di Duccio Galimberti, una dozzina di combattenti: è il nucleo iniziale delle formazioni “Giustizia e libertà” che si spingeranno verso nord, spartendo le valli Maira, Varaita e Bronda con i garibaldini. Saluzzo e Verzuolo sono i fondivalle cruciali di questo arco orografico: Saluzzo per ragioni militari (la caserma Musso è occupata dal comando tedesco di zona e dall’Organizzazione Todt, “il braccio edilizio della Wehrmacht”), Verzuolo dal punto di vista industriale. Ha uno stabilimento con 1038 operai che produce carta e nitrocellulosa (esplosiva), una filanda la cui seta serve per i paracadute, una fabbrica di falci, una segheria che dai boschi delle valli ricava pali per la corrente elettrica e i telefoni (da rimpiazzare quando i partigiani li abbatteranno, interrompendo le comunicazioni o l’alimentazione delle fabbriche), il più grande mulino industriale della provincia, un sacchettificio che produce contenitori per cemento, grano, farina.
Il 20 dicembre a Cavour gli uomini di Felice Burdino (Balestrieri) intimano l’alt a un’auto che corre a forte velocità. Dalla vettura un colpo di pistola ferisce gravemente un partigiano. Burdino dà l’ordine di rispondere. L’auto è bloccata. Dentro, cadavere, c’è un maggiore tedesco con una grossa borsa e sanguinante l’autista, Pier Paolo Lidonnici, figlio del segretario del fascio repubblicano di Saluzzo. I partigiani lo portano all’ospedale, dove muore. Nella borsa scoprono due milioni e mezzo di lire, i compensi mensili per le ditte e gli addetti al cantiere della Todt. Per molti mesi la somma servirà a mantenere le formazioni garibaldine. Il 22 dicembre il gruppo dei fratelli Burdino assalta l’aeroporto di Murello e incendia alcune decine di aerei. Il giorno dopo Edoardo Lidonnici con un camerata sale fino a Paesana per affiggere i manifesti che annunciano i funerali del figlio e del Baurat von Andreae. Sono catturati e fucilati. I loro corpi verranno ritrovati solo ai primi di gennaio 1945. Ma già il 30 dicembre scatta la rappresaglia della Luftwaffe: a Bagnolo sono uccisi 13 civili e 8 partigiani, a Paesana 3 civili e 14 partigiani. Da tempo il Comando tedesco provinciale aveva programmato 10 raid in tutto l’arco alpino dalla val Po al monregalese. Si svolgono nel giro di due settimane, privilegiando i giorni festivi e quelli di mercato, perché i massacri abbiano ampia pubblicità. A Ceretto, fra Costigliole e Busca, contingenti dell’aviazione di Levaldigi, un battaglione Est e SS italiane, guidati da fascisti della zona, trucidano 27 persone, quasi tutti civili intenti ai lavori agricoli e ne bruciano le case.
Il 22 gennaio le truppe alleate sbarcano fra Anzio e Nettuno per aggirare la linea Gustav e puntare su Roma: l’operazione riesce solo in parte, i tedeschi la contengono per alcuni mesi. Fra i paracadutisti della Luftwaffe c’è una compagnia arrivata dalla Grangia: vi si è arruolato Aldo Bormida, figlio del direttore amministrativo della cartiera. Il 30 gennaio muore in combattimento. È il primo caduto italiano “nella difesa di Roma”. Il padre, ricevuto da Mussolini, ne profitta per perorare la causa dell’ing. Burgo. Il presidente e direttore generale delle cartiere è stato infatti imprigionato a Verona il 10 novembre 1943 con l’accusa di tradimento. Il suo distacco da Verzuolo consente l’ascesa di un dirigente antifascista, il dott. Dario Morelli, già segretario del Consiglio di amministrazione. Nascono un CLN di fabbrica e uno aziendale, questo formato da tecnici e ingegneri della Direzione sfollata da Torino, si prendono contatti con GL e garibaldini.
Lo sbarco di Anzio e la speranza di una rapida avanzata degli angloamericani hanno indotto i partiti di sinistra a costituire un Comitato “segreto” di agitazione e a proclamare una sospensione del lavoro con le parole d’ordine «Né un uomo né una macchina né un chicco di grano per la Germania». Il lancio di volantini però dà la possibilità ai comandi tedeschi, ai questori e alle direzioni aziendali di predisporre delle contromisure, dalla minaccia di deportazione alle ferie obbligate con il taglio in busta paga di tutte le indennità. Lo sciopero avviene quindi nelle località in cui tedeschi, polizia e direzione non possono arrivare come a Paesana o sono di presidio i partigiani oppure le direzioni sono antifasciste, come a Verzuolo o Moretta, dove il proprietario del caseificio e salumificio Mattia Locatelli è rimasto in contatto con il maestro Franco Terrazzani, già precettore dei suoi figli e ora comandante garibaldino in val Varaita.
Un altro modo di far incrociare le braccia è quello di bloccare i mezzi di trasporto, che portano gli operai sul posto di lavoro. Così fanno i garibaldini a Piasco il 1° marzo, impedendo a 15 sterratori di raggiungere il cantiere della Todt, ai pendolari di Barge le fabbriche di Torino. Il giorno dopo 200 operai su 900 della ditta Romagnoli al servizio della Todt si fermano di loro iniziativa. Invece a Paesana le 393 operaie della Tessitura Serica Piemontese e i 112 lavoratori della FIAT Ricambi scioperano il 3 e il 4 sotto protezione dei partigiani. Pompeo Colajanni parla loro in piazza. Al cotonificio Wild di Piasco i 450 operai si fermano per l’intero 4 marzo.
Lo sciopero alla cartiera di Verzuolo dura dall’8 al 15 marzo, i primi tre giorni i partigiani della val Varaita sono presenti in paese. Terrazzani, Mandelli e Bazzanini tengono un comizio nel salone mensa. Un’auto tedesca che cerca di forzare il blocco è fermata con una vittima, i commilitoni si asserragliano a villa Burgo. In questi giorni si sciopera anche alla filanda Ponte. Ritornati in val Varaita con una trentina di cartai che li hanno seguiti, i garibaldini interrompono i flussi di corrente dalle centrali idroelettriche, poi fanno altrettanto dalla val Po con l’impianto di Calcinere. Il direttore Morelli e il podestà Bianchi, ingegnere della Burgo, coprono sia gli scioperanti, costretti da “cause di forza maggiore”, sia i nuovi partigiani, “trasferiti presso altri stabilimenti”.
La risposta al lungo sciopero è un massiccio rastrellamento fra il 25 marzo 1944 e aprile, condotto da un battaglione della SS-Polizei. Dopo uno scontro al ponte di Valcurta che non si riesce a far saltare, perdono la vita 55 garibaldini e 7 civili. Il 13 aprile militi della GNR arrestano quattro partigiani: fra di essi, la maestra elementare di Torrette Lidia Beccaria, poi deportata a Ravensbrück, l’unico lager per sole donne.
Ai primi di aprile anche a Paesana i tedeschi passano per le armi nove partigiani e un civile. Ma il 6 maggio scatta dalla val Po il secondo attacco all’aeroporto di Murello sotto la guida del comandante Isacco Nahoum. Poi esplode “l’estate partigiana”. Le caserme della GNR di Sampeyre e Casteldelfino sono espugnate. Si costituiscono le “zone libere”: per alimentarle i garibaldini dirottano verso Venasca carichi di grano o di farina destinati al mulino Fissore – Sandri. Il 26 giugno tornano a scioperare i 600 lavoratori di Paesana, a Verzuolo la cartiera gira a rilento: scarseggia l’energia elettrica “per attività sovversiva”. I partigiani, scesi a Revello, insediano la Giunta popolare e chiedono alla direzione della filanda di aumentare i salari: il proprietario, l’armatore genovese Angelo Costa, si rifiuta e chiude la fabbrica.
La reazione tedesca inizia il 30 giugno in valle Po. A Crissolo un bombardamento aereo provoca la morte di sei persone. A Revello muoiono dodici civili. Il 25 luglio sono bruciate Martiniana e Sanfront, il 1° agosto Paesana con 3 partigiani e 4 civili uccisi. In val Varaita sono incendiate Rossana e Venasca (11 agosto).
Il 15 agosto truppe americane, canadesi e gaulliste sbarcano fra Hyères e Saint Tropez. I tedeschi tentano di portare soccorso ai loro presidi attraverso il colle della Maddalena, ma la brigata Rosselli ne rallenta il passaggio. Arrivano quando lo sbarco è già avvenuto e i paracadutisti hanno preso alle spalle le guarnigioni. L’obiettivo della Wehrmacht è ora controllare i valichi delle Alpi Graie e Marittime per impedire attacchi dal versante francese.
Ricominciano i rastrellamenti: per efferatezza si distingue il reggimento della Luftwaffen-Sicherung del ten. col. Fritz-Herbert Dierich. Il comando tedesco punta però a un presidio permanente. In valle Po si stabilisce un battaglione di Gebirgsjäger. Da settembre sono disponibili anche quattro divisioni fasciste addestrate in Germania: un battaglione della Monterosa (alpini) occupa le caserme da Costigliole a Casteldelfino, uno della Littorio Busca e la val Maira.
Il 13 novembre 1944 il maresciallo Alexander via radio comunica ai partigiani queste istruzioni: “1) Cessare le operazioni organizzate su larga scala. 2) Conservare le munizioni ed i materiali e tenersi pronti a nuovi ordini”. A causa dell’inverno precoce e durissimo gli angloamericani si fermeranno davanti alla linea gotica e ridurranno al minimo i lanci di armi e viveri. Molti resistenti rientrano a casa o abboccano alla trappola dell’amnistia. Il tenente Adami e altri ufficiali della Monterosa si rivelano specialisti in controguerriglia, travestimenti, interrogatori e spionaggio. A Cuneo l’Ufficio politico investigativo del Pfr, quando il 24 novembre il maggiore della Littorio Bernabé viene ucciso sul piazzale della stazione ferroviaria, fa fucilare dalla «Lidonnici» tutti i prigionieri allora in carcere: fra questi la sarta Maria Luisa Alessi, staffetta garibaldina nativa di Falicetto. Ai primi di dicembre l’Upi prende in consegna Duccio Galimberti catturato a Torino e lo uccide.
Il 27 le camicie nere sorprendono nella frazione Rolfa di Venasca il comandante della 15a Brigata Garibaldi Mario Morbiducci e un suo ufficiale: Morbiducci muore, l’aiutante, catturato, è ucciso a Venasca il 30 dicembre.
La nevicata di metà gennaio è così imponente da bloccare la tramvia Saluzzo-Cuneo. Il Leutnant Krimme e il prefetto Galardo impongono a ciascun comune attraversato dalla linea la messa a disposizione di un certo numero di spalatori, 40 nel caso di Verzuolo. Il 23 gennaio 1945 viene comunicato al CLN regionale che sulle alture di Manta si è costituita una brigata Matteotti, intitolata al martire dell’antifascismo saluzzese Liderico Vineis. Ciò provoca qualche frizione, perché molti dei componenti della banda sono ex GL o ex garibaldini, ritornati a casa per il venir meno dei rifornimenti alleati. Il Comando unificato di zona risolve la controversia, facendo rientrare alcuni partigiani nella formazione originaria e soprattutto suddividendo i compiti in vista dell’insurrezione generale. È proprio in questa prospettiva che il nuovo comandante della 15a, ora 181a brigata Garibaldi “Morbiducci”, Ernesto Casavecchia convoca per il 6 marzo una riunione presso il santuario di Valmala. In 9 cadono nella trappola della Monterosa, catturati all’alba e fucilati sul sagrato. La 181a deve darsi nel giro di pochi mesi un altro comandante e un altro commissario politico.
Nell’aprile del ’45 si svolgono gli scioperi preinsurrezionali e poi insurrezionali. L’obiettivo è impedire che i tedeschi in ritirata facciano terra bruciata. La protezione della cartiera è assunta dalla Sap garibaldina e dalla 2a banda della Brigata Saluzzo GL, comandata da “Miche” Berra, alla Matteotti è affidata la centrale elettrica di Santa Caterina, gli impianti delle valli Po e Varaita toccano ai garibaldini (a Paesana convincono i guastatori austriaci che dovevano far saltare le turbine di Calcinere a disertare). Per Verzuolo la data dell’insurrezione è quella del CLN Alta Italia, cioè il 26. Le squadre cominciano a prendere posizione in cartiera e ai posti di blocco la sera del 24: una camionetta tedesca cerca di sfondarli, nello scontro vengono uccisi un maresciallo e due soldati con tre feriti gravi. Nel pomeriggio del 25 il presidio germanico di Costigliole si consegna e viene accompagnato a Manta, dove gli uomini sono distribuiti fra le scuole elementari e la Bicocca. A guardia della caserma di Costigliole restano due garibaldini, il verzuolese Giuseppe Sasia e Silvio Barbagelata, un vecchio antifascista liberato pochi giorni prima dalla Castiglia. Nella notte sopraggiunge una colonna tedesca in ritirata. La caserma viene incendiata, le sentinelle uccise. A Madonna della Neve, alle porte di Villanovetta, un gruppo di matteottini tenta di opporre resistenza: sono colpiti Cesare Tranchero e i saluzzesi Giulio Calosso e Giuseppe Giordana (questi due ultimi moriranno poco dopo per la gravità delle ferite). La colonna tedesca è fornita di autoblindo e cannoni. I partigiani, asserragliati all’interno della Burgo, rispondono al fuoco. Il muro di cinta patisce danni rilevanti, ma le macchine e il deposito legname sono salvi.
Il 27 aprile i partigiani entrano in Saluzzo. Dalla valle Po Colajanni e i suoi uomini sono già alle porte di Torino per impedire che i tedeschi attraversino la città.
Verzuolo con circa 200 riconoscimenti, Manta con un centinaio, Saluzzo con poco meno di 400 (i rispettivi abitanti ammontavano allora a 5.800, 1.800 e 16.000 unità) hanno una densità “partigiana” tra le più alte della regione, proprio perché bacino della manodopera della cartiera.
Livio Berardo
Il ruolo di Verzuolo nella resistenza cuneese
