- Quando avete sentito raccontare per la prima volta dai vostri famigliari dell’esperienza partigiana, cosa avete provato?
Io ero ancora ragazzino e mio fratello era adolescente quando ricordo di aver sentito nostro padre parlare di Resistenza.
Aneddoti per lo più scherzosi, raccontati per farci sorridere e, forse, per non impressionarci.
Allora, da ragazzini, non abbiamo colto l’importanza di quella scelta.
- Secondo voi, in base a quello che vi è stato raccontato, che cosa ha spinto i giovani di allora a scegliere di diventare partigiani?
Sicuramente il rifiuto alla chiamata alle armi della sua leva lo poneva a rischio di arresto e fucilazione e quindi non rimaneva che salire sui monti ed entrare nei reparti Partigiani in cui militavano già molti suoi amici di Verzuolo.
- A cosa fu dovuta la loro spinta antifascista?
Gli ideali di libertà e di giustizia dovevano essere molto forti e radicati nei giovani che da decenni subivano la feroce dittatura fascista.
- I loro genitori seppero subito della loro scelta? La approvavano?
I suoi genitori sicuramente erano preoccupati per le sorti del loro figlio. Avrebbero preferito saperlo al sicuro. Però sono convinto che nel loro cuore fossero molto fieri delle sue scelte.
- Qual era il nome di battaglia scelto dai vostri parenti? Per quale motivo lo avevano scelto?
Il nome di battaglia è “Mano”, diminutivo del suo nome Ermanno. Ricordo che i suoi amici d’infanzia lo hanno sempre chiamato così.
- Amavano raccontarsi o hanno faticato perché, come anche i deportati, non si sono sentiti compresi?
Non ha mai raccontato molto della sua esperienza partigiana, non so se avesse timore che noi ragazzi non lo capissimo. Neppure quando eravamo adulti, non si è mai aperto con noi su quel periodo della sua vita. Forse siamo stati noi figli che non lo abbiamo stimolato a raccontare.
- Rispetto all’idea di Resistenza che ci si può fare sui banchi di scuola, com’era quella vera, che coinvolse i vostri famigliari?
Sicuramente partecipare direttamente a quegli eventi gli ha lasciato un segno profondo sia nell’anima che sulla pelle. Di questo ne è testimonianza il desiderio di ritrovarsi annualmente con i compagni delle brigate, con gli amici fraterni con cui si è condiviso quel duro periodo sui monti, alle cerimonie in ricordo dei compagni scomparsi, ed impegnarsi nell’Associazione Nazionale Partigiani, per la quale ha ricoperto per parecchi anni la figura di segretario di sezione.
- Raccontava spontaneamente o doveva essere sollecitato?
Non ha mai raccontato molto e purtroppo non lo abbiamo mai sollecitato, e di questo me ne rammarico.
- Appena finita la guerra che cosa desiderava fare?
Mio papà lavorava alla Cartiera Burgo.
Durante gli eventi bellici la fabbrica non era stata danneggiata anche proprio per l’impegno dei partigiani verzuolesi. Era finita la guerra, era finita l’occupazione tedesca, era finita la dittatura fascista. Era sicuramente nel suo animo riprendere
la normalità della vita quotidiana da libero cittadino.