Intervento del prof. Livio Berardo, storico, sul ruolo degli operai della cartiera Burgo nella Resistenza

Testimonianza del prof. Livio Berardo  resa all’A.N.P.I. di Verzuolo sull’importante ruolo avuto dagli operai della Cartiera Burgo per la salvaguardia dello stabilimento e a sostegno della lotta partigiana

La Resistenza senza le armi: gli scioperi

Fra il 1940 e il 1945 la cartiera di Verzuolo era la seconda fabbrica più importante della provincia dopo le Officine metallurgiche di Savigliano. Dava lavoro a più di mille fra operai e impiegati. I loro prodotti erano utili per la guerra. La carta della Burgo serviva non solo stampare giornali, cioè a fare la propaganda, ma anche i manifesti per i pubblici annunci. Dalla cellulosa si ricavava anche la nitrocellulosa, un esplosivo.

Entrambi gli stabilimenti erano militarizzati. Dunque non si poteva scioperare. In epoca fascista o nei 45 giorni di Badoglio si finiva davanti al Tribunale militare, sotto l’occupazione tedesca si veniva deportati nei lager. Ciononostante a Verzuolo si scioperò tre volte:

  1. il 19-20 agosto 1943 raccogliendo l’appello del Comitato operaio torinese contro la prosecuzione della guerra e la doppiezza di Badoglio. Sono gli scortecciatori, addetti ad un lavoro pesantissimo, divenuto intollerabile con la sottoalimentazione a cui sono costretti, a dare il via alla protesta. Trascinano con sé tutti e 200 i lavoratori dei reparti segheria e pastalegno. Sette operai e un impiegato vengono arrestati. Sono Antonio Cortese, Giovanni B. Berardo, Filippo Garro, Livio Barale, Umberto Barra, Giovanni Martina e Silvano Ivaldi. Furono tradotti alle “Nuove”. Il processo si sarebbe dovuto svolgere presso il Tribunale militare di Torino mercoledì 1° settembre. Liderico Vineis, l’avvocato difensore contattato tramite le famiglie dagli operai, d’intesa con Duccio Galimberti chiese un rinvio per poter far intervenire Bruno Buozzi, commissario speciale del sindacato dei lavoratori, presso Badoglio.

    Gli aumenti che i cartai chiedevano, la cosiddetta indennità di bombardamento, a Torino erano già stati concessi. L’udienza si tenne il mercoledì successivo 8 settembre. Ad assistere gli imputati non fu Vineis, bensì due legali, scelti e pagati da Burgo stesso, Dino Andreis e Marcello Soleri. Burgo, al corrente dell’imminente proclama dell’armistizio, aveva cambiato idea.

    L’8 settembre Ivaldi è prosciolto, gli altri sono condannati per “ostruzionismo”, ma beneficiano della sospensione della pena.

    Il 10 novembre 1943 è Burgo a essere convocato a Verona dal Ministro degli interni della Rsi Buffarini Guidi e arrestato con l’accusa di tradimento nei confronti del fascismo. Rimane nel carcere degli Scalzi dal 13 novembre 1943 al 14 aprile 1944. Prosciolto, non rientra a Verzuolo, fermandosi in una clinica non lontana dalla Svizzera, affidando la gestione dello stabilimento al vicedirettore generale Dario Morelli, personalità di indubbi sentimenti antifascisti.

  2. 8-15 marzo 1944 si ferma tutto lo stabilimento. Un Comitato segreto di agitazione per la Liguria, Piemonte, Lombardia aveva lanciato la parola d’ordine dello sciopero generale: «Sciopero! Sciopero!… Bisogna finirla con la collaborazione (forzata o passiva) con l’oppressore tedesco! Bisogna sabotare in pieno tutto ciò che può essergli utile. Né un uomo né una macchina né un chicco di grano devono partire per la Germania o servire al barbaro saccheggiatore tedesco». A partire del mattino del 1° marzo molte fabbriche dei centri industriali si fermano. La maggior parte delle astensioni dal lavoro durano uno, due giorni, anche se complessivamente vi aderisce più di un milione di persone.

    A Verzuolo si cominciò l’8, quando i garibaldini della Val Varaita bloccano i 50 tedeschi del presidio, accampati a villa Burgo. I comandanti Bazzanini, Mandelli e Terrazzani entrano del cortile della cartiera e parlano agli operai, che, convinti, lasciano il lavoro. L’11 si presentano ai cancelli, ma le macchine non girano. Prima da Venasca, poi da Calcinere i partigiani hanno interrotto la corrente.

    La ripresa del lavoro avviene solo il 16. È stato lo sciopero più lungo della regione e senza patire la deportazione di centinaia di operai, come avvenuto a Torino e Milano. Morelli è riuscito a dimostrare che gli operai sono stati “costretti” a incrociare le braccia dai partigiani e dalla mancanza di forza motrice. Vengono arrestati tre calabresi, sospettati di essere sbandati della 4a armata. Ma il podestà Bianchi, che è un dipendente della Burgo, fornisce un certificato di residenza anteriore all’8 settembre 1943.

  3. 19, 25-26 aprile 1945 fuori e dentro lo stabilimento, per salvarlo
    Dalle 7.30 del 19 aprile 1945 una pattuglia partigiana entra in fabbrica e aziona la sirena. «La maestranza lasciò lo stabilimento senza alcun incidente». Il mattino dopo, come concordato, torna al suo posto. Il 25 aprile in cartiera restano solo gli addetti ai servizi di custodia, antincendio e protezione antiaerea assieme con gli uomini della Sap (Squadre di Azione Patriottica) garibaldina e la 2a banda della Brigata Saluzzo GL (Giustizia e Liberta), comandata da “Miche” Berra. Partigiani, Cln (Comitato di Liberazione Nazionale) cittadino e direzione aziendale sanno che al momento della ritirata i tedeschi secondo gli ordini di Hitler tenteranno di radere al suolo le fabbriche, per lasciare terra bruciata. Le squadre cominciano a prendere posizione nello stabilimento e ai posti di blocco la sera del 24: una camionetta tedesca cerca di sfondarli e nello scontro vengono uccisi un maresciallo e due soldati. Altri tre, feriti gravi, decederanno successivamente. A guardia della caserma di Costigliole, il cui presidio è stato catturato e portato a Manta, restano due garibaldini, il verzuolese Giuseppe Sasia e Silvio Barbagelata, un vecchio antifascista liberato pochi giorni prima dalla Castiglia. È ormai notte quando a Costigliole sopraggiunge una colonna della Wehrmacht in ritirata. L’edificio viene incendiato, i garibaldini di sentinella uccisi. A Madonna della Neve, alle porte di Villanovetta, un gruppo della Matteotti tenta di opporre resistenza: sono colpiti Cesare Tranchero e i saluzzesi Giulio Calosso e Giuseppe Giordana. La colonna tedesca è fornita di autoblindo e cannoni: avanza seminando il terrore. I partigiani, asserragliati all’interno della Burgo, rispondono al fuoco. La cartiera patisce danni rilevanti, soprattutto per ciò che riguarda il muro di cinta. Le cannonate colpiscono anche alcune case. Ma la fabbrica è salva.