Partigiano ERNESTO CASAVECCHIA

ERNESTO CASAVECCHIA nato a Torino il 2 febbraio 1919

Resa dal nipote  all’A.N.P.I di Verzuolo  per gli studenti delle classi terze scuola secondaria 1° grado.


  • Quando avete sentito raccontare per la prima volta dai vostri famigliari dell’esperienza partigiana?
Ho iniziato a sentir parlare dell’esperienza partigiana quando avevo 13-14 anni. Questo avveniva nei periodi della commemorazione dei caduti di Valmala del 6 marzo '45, dove caddero 9 partigiani tra cui mio zio Ernesto e durante la ricorrenza del 25 aprile a Verzuolo.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre del 1943 e lo sbandamento dell’esercito italiano, Ernesto si trovava a Centocelle vicino a Roma, dove frequentava l‘Accademia Militare per allievi ufficiali.
Come molti militari abbandonati a loro stessi, senza ordini  e senza capire cosa poteva succedere, decise di tornare a casa. Fece il ritorno un po' a piedi, un po' in treno, un po' con passaggi di fortuna e così giunse  a casa a Torino in via Po 4 dove intanto era arrivato anche suo fratello Marino. Il fratello maggiore Luigi, militare in Grecia, nel frattempo era stato fatto prigioniero dai tedeschi e col fatto che sapeva parlare un po' di tedesco era stato mandato a lavorare in una fattoria in Austria nei pressi di Linz.  E' stato il più fortunato, non ha patito la fame e non ha più dovuto combattere. Dopo qualche giorno, con l’avvento della repubblica di Salò dopo il 23 settembre 1943, si trattava di fare una scelta: o andare in montagna o rispondere ai bandi di reclutamento. Ernesto, con suo fratello, fece la scelta di salire in montagna e grazie ad amici del partito comunista Torinese fu messo in contatto con il nascente movimento partigiano nella zona di Paesana/Barge. Venne mandato a radunare e organizzare i renitenti alla leva che nella zona del saluzzese si erano dati alla macchia per non aderire al bando di chiamata alle armi.
  • Secondo voi e in base a quello che vi è stato raccontato, che cosa ha spinto i giovani di allora a scegliere di diventare partigiani?
Aveva maturato una coscienza antifascista grazie alle letture effettuate clandestinamente, si rendeva conto che ogni libertà  era stata abolita con la messa fuori legge dei partiti politici, dei sindacati, con la chiusura dei giornali e chi dissentiva rischiava la galera e/o il pestaggio da parte degli squadristi fascisti.
Nel 1938 entrarono in vigore le leggi razziali che crearono forti discriminazione verso gli ebrei fino alla loro deportazione e allo sterminio nei campi di concentramento, nel 1939 il Parlamento era stato abolito e poi ci fu l’entrata in guerra a fianco della Germania. Di fronte a questi fatti fu per lui una scelta conseguente.
  • I loro genitori seppero subito della sua scelta?
I suoi genitori erano mancati nel 1940, quando aveva appena 21 anni, ma fin quando furono in vita cercarono di frenare la sua spinta ribelle, anche per paura delle conseguenze. 
Fece il partigiano nella zona di montagna di Venasca, Becetto di Sampeyre, Sampeyre, Casteldelfino, Brossasco, Melle, fino al confine con la Francia per sfuggire ai rastrellamenti dei tedeschi e dei fascisti della divisione Monterosa.
  • Che rapporto avevano i partigiani con le persone che vivevano nei paesi di montagna? Ci sono degli aneddoti che potete raccontarci?
Se non fosse stato per la collaborazione dei valligiani, il movimento partigiano sarebbe stato sopraffatto in breve tempo.

Quando Venasca fu incendiata per rappresaglia, i partigiani furono avvisati sui movimenti dei fascisti dalla staffetta che poi diventerà  sua cognata; su sua pressante richiesta i partigiani scesero in paese per aiutare a spegnere le fiamme e a salvare così parecchie abitazioni dalla distruzione.
Poi ricordo che parlavano spesso dell’osteria della Posta a Lemma di Rossana dove spesso i partigiani trovavano riparo.
I 20 mesi di resistenza furono un continuo susseguirsi di colpi di mano per rifornirsi di  provviste presso i depositi dei fascisti, di battaglie come quella del ponte di Valcurta tra Brossasco e Melle, di marce anche nella neve alta trovando rifugio in qualche baita abbandonata o in qualche fienile di cascine abitate da contadini, spesso anche nelle canoniche di qualche chiesa di parroci compiacenti.
  • C’è un episodio, tra quelli raccontati che le rimase più impresso?
Il 6 marzo 1945 Ernesto si trova al Santuario di Valmala (valle Varaita) con il suoi uomini, era da poco stato nominato comandante di Brigata.
Di fatto quello acquartierato a Valmala è il "Distaccamento del comando" della 181^ Brigata Garibaldi "Morbiducci", gli uomini che si trovano in quel momento con lui sono 16, il resto degli uomini non è presente.
Ernesto è in attesa dei comandanti dei vari distaccamenti, si deve decidere e preparare l'insurrezione finale.
Alle 7,30 del mattino di quel 6 marzo, inizia l'attacco dei fascisti del battaglione Bassano guidati da Adriano Adami, chiamato "Pavan".
Lo scontro è breve e cruento, i partigiani hanno poche armi e l'esito del combattimento è scontato. Ernesto ordina di nascondere il più possibile il materiale non trasportabile e poi tutti si preparano all'uscita e al tentativo di sganciarsi dai fascisti.

Il finale lo si conosce: Ernesto è tra i caduti di quel 6 marzo ’45, cinquanta giorni prima del 25 aprile, la fine della guerra.

Nel tentativo di risalire il monte alle spalle del santuario e di proteggere la fuga dei suoi compagni viene colpito da una scheggia di mortaio che gli perfora la tempia. Verrà ritrovato il giorno dopo con nessuna altra ferita.

MEDAGLIA D’ARGENTO AL VALOR MILITARE ALLA MEMORIA

Per chi volesse approfondire i fatti dell’eccidio di Valmala, si consiglia il libro di Piero Balbo “Combattere in Valle Varaita”.