Partigiano DELGROSSO ALDO

DELGROSSO ALDO nato a Verzuolo (CN) il 31 gennaio 1923

Donata dalla figlia Angela agli studenti della classe terza della scuola secondaria di primo grado.


  • Quando avete sentito raccontare per la prima volta dai vostri famigliari dell’esperienza partigiana, cosa avete provato?
Non c’è mai stata o comunque non si ricorda una prima volta precisa. Tuttavia spesso se ne parlava in famiglia e si poteva percepire il dolore della tragedia da ogni singolo racconto.
  • Secondo voi e in base a quello che vi è stato raccontato, che cosa ha spinto i giovani di allora a scegliere di diventare partigiani?
Li ha spinti l’idea che il fascismo fosse una dittatura sbagliata e che fosse un “tradimento” e quindi iniziarono a manifestare ed opporsi e divennero per questo partigiani.
  • A cosa fu dovuta la loro spinta antifascista?
Al pensiero che in Italia si fosse instaurata una dittatura che reputavano sbagliata in quanto, soprattutto con la censura, limitava la libertà di opinione ed espressione. Fu il desiderio di libertà a spingerli ad essere antifascisti e poi, più attivamente,  partigiani. 
  • I loro genitori seppero subito della loro scelta? La approvavano ?
I genitori erano informati di questa scelta e la approvarono nonostante il rischio che comportava. Le famiglie, gli amici e anche i comuni cittadini li supportarono, perché li videro come una salvezza. 
  • Che rapporto avevano i partigiani con le persone che vivevano nei paesi qui intorno? Ci sono degli aneddoti che potete raccontarci?
Le persone che vivevano in vallata vedevano i partigiani come una salvezza per i cittadini essi erano simbolo di forza, coraggio e sicurezza. I cittadini, e anche molti ragazzetti giovani, erano molto disposti ad aiutare i partigiani condividendo cibo, riparo, coperte e vestiti. Le donne addette ad aiutare gli uomini facenti parte della resistenza furono chiamate Staffette. A volte capitava però che i fascisti, che erano a conoscenza di questa resistenza, si travestissero da partigiani e si infiltrassero nelle brigate per ucciderne il più possibile in modo “ mascherato “ e questo metodo fece molti morti.
  • Qual era il nome di battaglia scelto dai vostri parenti? Per quale motivo lo avevano scelto?
I nomi di battaglia rendevano i partigiani vulnerabili e riconoscibili, perciò cercarono il più possibile  di tenerli segreti. Un esempio è il nome “Leonida”, scelto perché fu un personaggio storico simbolico per i partigiani, ossia un comandante che si era sacrificato per il suo popolo, i Greci; le storie di comandanti e capi ricordati per le loro grandi imprese erano molto comuni e in voga tra i partigiani. Inoltre, a ogni nome di battaglia corrispondeva una determinata impostazione morale, perciò anche dopo la fine della guerra, alcuni tra i partecipanti alla Resistenza preferirono restare in silenzio per onorarne la memoria.
  • Appena finita la guerra, che cosa desideravano fare?
Dopo la guerra, il loro principale obiettivo era quello di ricostruire da capo l’Italia; molti ripresero gli studi, altri lavorarono, ma tutti si impegnarono per riprendere la propria indipendenza, anche se all’inizio fu tutto molto difficile. C’era poi un altro obiettivo condiviso da tutti, quello morale, ossia quello di portare avanti l’importanza di valori come libertà e uguaglianza, contribuendo a non dimenticare il periodo in cui questi valori vennero a mancare e quello successivo in cui si lottò per riaffermarli.
  • Amavano raccontarsi o hanno faticato perché , come anche i deportati, non si sono sentiti compresi?
Molti solo verso i 90 anni hanno iniziato a raccontare il proprio vissuto; prima però accompagnavano figli o nipoti alle commemorazioni. Alcuni partigiani invece scelsero di non trasmettere la propria esperienza attraverso racconti, per rispettare e non contrastare i vari pareri.
  • Rispetto all’idea di Resistenza che ci si può fare sui banchi di scuola, com’era quella vera, che coinvolse i vostri familiari?
Durante la Seconda Guerra Mondiale, la scuola era diversa, ritenuta di secondo piano e come una distrazione, date le problematiche di quel periodo. Ora invece rappresenta l’apertura verso argomenti importanti, tra cui certamente anche questo. Attraverso il sapere, l’informazione e la conoscenza della storia non si viene indottrinati (privati della libertà di pensiero), come succedeva al tempo. Attraverso gli errori che la storia ci mostra si impara e la scuola è un po' come una maestra, non solo di cultura, ma anche di vita.
  • Raccontava spontaneamente o doveva essere sollecitato?
Com’era comune, non amavano raccontarsi. Solo in alcuni momenti citava la propria esperienza e le caratteristiche della guerra, spesso come rimprovero e insegnamento; un esempio è a tavola: quando i figli avanzavano del cibo, lui ricordava “i brutti tempi”, quelli della guerra, dove il cibo era considerato un bene da non sprecare.
  • C’è un episodio, tra quelli raccontati, che le rimase più impresso?
Uno degli episodi più significativi è stato quello in cui papà raccontava un sogno che faceva abbastanza spesso:  sognava di essere in un bosco, da solo, durante la guerra. Ad un certo punto si sentiva tirare e afferrare e, voltandosi,  vedeva un soldato tedesco morto con gli occhi sbarrati. A quel punto, terrorizzato scappava via velocemente.
  • Ricorda i sentimenti che esprimeva mentre raccontava?
Quando  raccontava  provava amore per le armi ma anche un profondo odio per la violenza. Era un uomo estremamente sensibile; si commuoveva con la musica classica o per un amico morto in guerra.  Credeva anche estremamente nel fatto che, se si fa una cosa brutta, essa ti si contorcerà contro, un po’ come il concetto del karma. 
  • Com’erano i rapporti con le donne partigiane o  staffette?
Le donne avevano il compito di caricare le armi, procurare e trasportare le risorse: in particolare le staffette ricoprivano il ruolo di trasporto degli armamenti. Le donne hanno avuto un ruolo fondamentale, non solo sul campo di battaglia, ma hanno anche sostituito gli uomini nelle fabbriche, badando sempre ai figli.    
  • Avete materiali fotografici o documenti che testimonino ancora oggi l’attività partigiana del vostro familiare ?
Per fortuna abbiamo ancora diversi documenti e fotografie, per esempio l’attestato dell’attività del nonno, purtroppo deceduto pochi giorni dopo aver ricevuto questo riconoscimento nel 2005. Con degli scavi sono stati ritrovati dei reperti inerenti alla guerra e conservo tutte le lettere che mio padre scriveva a mia madre. Le ho raccolte e ne ho fatto una sorta di libro; alcuni reperti, per esempio i ritagli di giornale dell’ epoca, sono importantissimi per ricostruire i fatti e gli avvenimenti del passato, per capire meglio le idee che circolavano.